Film concentrato e asfittico per la sensazione claustrofobica che l'unica location della pellicola propone per raccontare le relazioni e gli scontri dei dodici giurati, chiamati a decidere le sorti di un ragazzo accusato dell'omicidio del padre.
Il verdetto della giuria sembrerebbe già scontato quando "un ragionevole dubbio" comincia a venir fuori dalla volontà di discutere del caso da parte di uno dei componenti del gruppo.
Inquadrature strette e primi piani ravvicinati sono il sapiente metodo del regista per incrementare la sensazione di caldo opprimente che i personaggi (rinchiusi letteralmente a chiave) provano, oltre ad un malessere continuo, nel dover discutere qualcosa che sembrava già scontato.
L'unico giurato bastian contrario, che è Henry Fonda, gradualmente riesce ad infondere il tarlo del dubbio e l'incertezza negli altri membri, fino a ribaltare le sorti del verdetto che vede il ragazzo non colpevole.
Fin qui nulla che una sapienza come quella hollywoodiana americana non fosse in grado di saper trasmettere, se non che Lumet, nel saperla esprimere, ci riesce meglio di altri perché fa uso di uno stile personale secco, spigoloso e sicuramente non piacevole e rassicurante per gli standard degli anni '50.
Quale interesse questo tipo di cinema può stimolare in un disegnatore di fumetti se non il desiderio di analizzarne le sequenze e le strutture narrative, da rapportare in un mezzo espressivo come una tavola grafica composta da vignette e balloons?
Direi che ogni singolo frame del film è un ottimo banco di prova per capire come si deve gestire la forza espressiva di una storia e come si deve eliminare nel disegno il superfluo e l'eccesso.
Forma e contenuto semplici per poter catturare l'attenzione di un sentimento comune per ogni buon fruitore di racconti.
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