Non mi intendo di storytelling a tal punto da sostituire il medium del disegno, del fumetto e dell'illustrazione con quello della scrittura.
In passato, però, ci sono state alcune occasioni, dove un'immagine o un ricordo di quest'ultima, mi stimolavano, una dietro l'altra una serie di concatenazioni di eventi o fatti che lasciare solo come semplici annotazioni da grafomane, non rendevano loro, meritata giustizia....
Ed è per questo motivo che ho scritto la Lavatrice.
Un breve racconto che se vogliamo può essere il punto di inizio di un soggetto per una graphic novel o la fine di una immeritata carriera nelle patrie lettere!
LA
LAVATRICE
DI FRANCESCO CONTE
«Sei così sicuro che la tua vita non somigli ad una sbiadita
fotocopia, sempre uguale a se stessa?»
Con le lacrime agli occhi
qualsiasi fisionomia di donna bella e aggraziata assumeva le fattezze
abbrutite di un dolore espresso. Continuando nel silenzio il proprio
ruolo di comparsa al dolore altrui, si peggiorava una reazione già
da molto tempo repressa.
Sovente, anche gli animi
più indifferenti riuscivano a reagire ad uno schiaffo rumoroso.
Solo Corrado rimaneva
stabile come i moderni grattacieli giapponesi collaudati per gli
improvvisi terremoti.
Dietro la cassa della
tabaccheria, tutta l’amara esperienza di una vita dura rimbalzava
già da qualche anno, senza più motivare nessuna reazione.
L’unica donna che
avrebbe potuto comprendere cosa significava portarsi dentro un
rutilante e sempre uguale malessere esistenziale, scompariva oltre la
porta provvista di tende annodate e di plastica. Lei sarebbe stata
capace di prenderselo tutto sulle proprie spalle, questo dolore, per
il solo fatto di amare quest’uomo pallido e smagrito e incapace
ormai di sorridere. Negli ultimi anni riusciva a sopportare i suoi
tremendi sbalzi d’umore fatti di un’inaspettata rabbia verso gli
altri e le cose che circondavano la vita di tutti i giorni: una casa
modesta, un lavoro da impiegato e una gran voglia di migliorarsi che
l’aveva fatta innamorare.
In molte occasioni un
moto diretto ad una rivalsa chiara e distinta della sua dignità di
uomo prendeva forma in tutti i più semplici gesti di ogni giorno.
Prima del buio, quando
con gran consapevolezza sentiva la vita rallentare e sostare vicino i
suoi nervi sensibili, riusciva ad assaporare ogni momento come se
fosse un avvenimento speciale. In tal caso ogni cliente era trattato
con singolare rispetto, accompagnando il saluto di benvenuto con un
allegro sorriso che arrossiva il pallore stantio della sua
espressione.
Un pacchetto di sigarette
venduto era in questi casi un’occasione rara per regalare
generosamente una battuta spiritosa che non mancava di sorprendere le
attempate signore o i più seriosi ragazzi abbronzati e con il gel
sulla cresta.
Quando nel suo mondo
calava la tenebra della depressione, stare seduto sullo sgabello
della tabaccheria era come una tortura medievale che insisteva a
convertirlo alla vita di tutti i giorni.
Con un tale peso sulle
spalle l’unica postura accettabile era quella sdraiata.
Nell’assolvere il suo
quotidiano dovere sociale, il malessere rallentava i gesti e
storpiava le semplici parole di relazione comune.
«Buongiorno» usciva
dalla sua bocca come impastato di saliva e muco e a metà parola la
consonante G si schiacciava in una fischiettante pernacchia
adenoidale dovuta all’ostruzione di uno dei canali del setto
nasale.
Resistere era una fatica
insormontabile, ma doveva pur farlo se voleva pagare l’affitto o
portare la sua donna fuori da qualche parte.
Ora che lei non c’era
più; ora che il male aveva vinto una battaglia importante,
annientando per sempre una grande difesa, ora come non mai sentiva di
essere perso.
Non meno chiara era la
mancanza di una qualsiasi possibilità di reazione.
Poteva rincorrerla e
tentare di rimediare a tutto quello che era successo, ma una paresi
delle sue articolazioni gli impediva qualsiasi iniziativa. Si
bloccava così, con le mani congiunte attraverso l’inguine e gli
occhi bassi a guardare le macchie sbiadite delle cosce dei jeans
vecchi.
Nell’arco di tempo
successivo, il vuoto.
A sera inoltrata neanche
la gente della strada diretta verso casa riusciva a scuoterlo.
Coppie di ragazzi
abbracciati e felici che circolavano da tutte le parti non cambiavano
la direzione di quello sguardo fisso avanti a sé.
Il pensiero era come
ingessato e neanche un grande dolore come il lascito della donna
amata poteva liberarlo dal silenzio assoluto e solitario del suo
personale male di vivere.
Flebilmente cominciava a
comparire un leggero mal di schiena.
Una accanto all’altra
le evanescenti impressioni al negativo delle ossa di Corrado,
allestivano un mostruoso tronco oblungo e verticale in
contrapposizione accecante sullo sfondo al neon bianco.
Una sull’altra le
radiografie sembravano creare una pianta architettonica di costole
arcuate nei due sensi di lettura.
Era come scoprire
l’interno di una grassa conchiglia sottomarina alla quale avevano
aperto forzatamente la copertura e gettata con noncuranza dal lato
opposto.
Corrado in piedi accanto
al medico faceva già molta fatica a parlare.
«Bisognerà fare altri
accertamenti, sottoponendosi ad una TAC del tronco all’altezza del
bacino.»
Commentava il dottore
provvisto di lenti progressive.
Nel pronunciare la parola
TAC, la sua espressione era rimasta contratta in una strana risata
buffonesca, dovuta probabilmente ad una migliore messa a fuoco dei
particolari.
Dal canto suo Corrado non
voleva saperne di altre scocciature o impegni pomeridiani. Per quella
visita già gli era costata un’enorme fatica chiedere una mezza
giornata di permesso in tabaccheria.
Avrebbe portato il
referto ai suoi genitori tentando di rimanere anch’egli sbigottito
a quella scrittura incomprensibile fatta di termini fluttuanti, come
le ultime costole ad uncino del suo torace avanti a sé.
Guardava il suo interno
con molto interesse.
Quello lì era lui
rivoltato come un guanto.
Mentre il medico
propinava consigli utili sul come assumere una corretta posizione per
raccogliere gli oggetti, egli pensava di poter finalmente vedere con
più chiarezza.
Guardando con più
attenzione, chissà, avrebbe potuto scoprire in quale misterioso
anfratto di ossa o cartilagine era nascosto quel malessere dell’anima
che lo attanagliava ogni giorno.
Era chiaro che proveniva
da lì.
Niente di ciò che era
esterno al suo mondo poteva averne alcuna responsabilità.
Quel miscuglio di segni
sfumati, che agli occhi dei più poteva dare fastidio al senso comune
della tolleranza visiva delle interiora del corpo, dopo un momento di
riflessione, diventava l’emblema assoluto di tutto quello che la
gente soffriva.
Le porzioni articolari
del bacino, facendo davvero ribrezzo, con quella finta ragnatela
somigliante ad una scadente colla distribuita male, suggerivano un
buon punto di partenza per la ricerca.
Forse dietro a quella
specie di farfalla si nascondeva il pericoloso bruco da estirpare.
Sorrideva fra sé,
Corrado, provando un’enorme pena per quel gemello fantasma
incontrato per la prima volta. Pensando alla propria impalcatura
interna riusciva difficile percepire tutta quella complessità.
Egli in molte occasioni
era per lo più un sacco vuoto e leggero di per sé.
Le ossa come i muscoli o
gli organi erano degli strumenti a lui ignoti. Sapeva di poter vivere
grazie ad essi, ma parallelamente ne avvertiva la silenziosa assenza.
Quando la maggior parte
della giornata era vuota, egli riconosceva al suo ventre, un ruolo di
filtro provvisto di gambe immobili. La corrente dell’assenza di
particolari avvenimenti della sua vita, circolava dall’esterno e
dentro sé in una specie di movimento a spirale.
In questo turbinio, le
sue interiora scomparivano polverizzandosi al passaggio repentino,
come in una stanza senza mobili ed esposta alla corrente. Osservare
l’intelaiatura bianca della propria impalcatura, se da un lato
permetteva di accertarsi dell’esistenza di telai, porte e cerniere,
dall’altro celava, in un guazzabuglio da magazzino incasinato,
l’origine di quel male segreto ed introvabile.
«Macché chiarezza?!» pensava fra sé.
«Ma che macchie sono queste qua in
alto?!» continuava accigliandosi sempre più.
«Ma che cazzo sono io?» sbottava
cianciando dalla bocca.
Spegnendosi
improvvisamente i neon dei quadri luminosi, Corrado rimaneva
imbambolato davanti le due lastre ormai buie.
Davanti a quel blackout
anatomico un pensiero raro attraversava la mente occupata in
peregrinazioni nere.
«Che il tempo possa essere prezioso e
che di per sé sia un valore da recuperare?»
Non era facile scoprirlo
lì in quell’ambulatorio in penombra.
Forse bisognava con molta
fatica dirottarsi da qualche altra parte, lontano.
Era certo che tutto il
suo vuoto disadorno e triste, portato via, magari chissà in Spagna,
avrebbe trovato tutti gli arredi che un’indolenza alle cose belle
aveva fatto perdere per strada.
continua.....
PS
le immagini inserite nel racconto sono una serie di dettagli di pitture o interi disegni utilizzati, senza stare a pensarci più di tanto, come accompagnamento illustrato del testo che per la leggerezza del tema merita di essere riletto con un giusto accompagnamento musicale..
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